Seguendo un lontano ragionamento mutuato commentando via via un pò tutti i blog che seguo via rss ho notato che abbiamo tutti capito la potenza che abbiamo ottenuto dalla tecnologia. Direi che il tutti però non comprende davvero tutti.
Secondo la famosa piramide dei bisogni di Maslow quando siamo sulla vetta ci siamo autorealizzati, non dobbiamo più pensare al cibo, a un tetto, alla difesa persona e a doverci relazionare con il prossimo, ma non ci fa pensare che realizzarsi significa espandere i propri orizzonti. Il concetto di prendere parte alla corsa della cultura che è avvenuta negli ultimi trent’anni comporta un’enorme fatica per chi ci entra ora e per chi ci è già entrato ma si trova di fronte a un gap mentale rispetto alla propria esperienza.
La questione diventa: ma i prodotti elettronici di consumo sono per i consumatori? Un progettista inizierebbe a dire: individuiamo un target di mercato.
Sembra una battuta ma è sempre così: i prodotti elettronici non sono per tutti.
Apple per quanto si sforzi crea chimere e mostri di ogni sorta. Bruce Sterling, noto pioniere della fantascienza, ammette in una recente intervista a Wired che da Cupertino non nascono geni e che soprattutto chi adopera prodotti di casa Redmont diventi stupido (per approfondimento segue il salto all’articolo originale).
L’aggiunta a questa lettura è il salto energetico mentale che va fatto per comprendere il senso logico che cerca di avere un prodotto, che sia smartphone o sia pc o sia pmp. L’individuo medio sa “come una foglia di tè di ceylon della storia della compagnia delle indie” (citazione della Guida Galattica per Autostoppisti) in altre parole niente. In giro si trovano persone che saltano sul primo treno in corsa solo per obbligo e non perchè ne comprendano la destinazione e nel mercato dell’elettronica i prodotti vengono percepiti come il cambio del sistema agricolo nel medioevo.
La progettazione del sistema di Android cerca di andare oltre: semplificare all’osso la vita e non complicarla.
Basti pensare a un fattore che Wozniak porta come la parte più innovativa dopo l’introduzione dell’interfaccia grafica: i comandi vocali. E se lo dice iWoz 😉
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Comandare verbalmente il proprio device è un sogno che anche Microsoft ci aveva provato ma con scarso successo. Ora a MountView hanno trovato nuove energie per ovviare i problemi tecnici, la debolezza del calcolo sul client e portando lato server la questione dell’elaborazione.
L’UXdesign se focalizzasse su nuove frontiere meno ingegneristiche dettate dal decennale schema di Jesse James Garrett, in cui tutto è ordinato ma non porta a vere soluzioni creative e utili per l’utente, porterebbe nuova linfa. Leve emozionali come quelle descritte da Don Norman e Stephen Anderson fanno ricordare quanto il mondo sia sviluppato da nerd ma che poi tutto cade in mano alle persone normali.
Un prodotto come iPhone e Nexus S fa capire sempre di più il gap per questo Utente Medio, che probabilmente è in una teca a temperatura e pressione costante per conservarne la costanza di misurazione insieme al famoso metro, che a quanto pare non corrisponde alla realtà quotidiana.
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Questo video è simbolico ma deve far riflettere.
Nella vita reale sapere che differenza passa tra programmare la lavatrice e come si sceglie la ricetta su iPasta è la questione che non si dovrebbe porre, un effetto di appiattimento culturale rispetto al mondo sintetico che entra e cancella quello naturale piano piano, come un cancro (ma spererei nel buono del concetto ma dal lato utente basso sembra la peste bubbonica). Sentirsi chiedere se Google Maps non funziona perchè il pc è rotto, quando in realtà il flash player non è installato, fa pensare e riflettere (e non sto parlando di persone ritardate ma persone che stanno facendo percorsi universitari umanistici).
Sviluppare il nuovo prodotto di elettronica o andarlo a scegliere dovrebbe rispondere alle seguenti questioni:
- usabilità: essere capaci appena trovato il metodo di accensione di comprendere come funziona per la parte principale e poi naturalmente per le parti secondarie, senza dover aprire un manuale o dover chiedere a uno smanettone.
- contesto: il prodotto che andremo a scegliere dovrà corrispondere, non solo a livello di usabilità virtuale ma anche fisica, al contesto nostro d’uso, quindi cosa può fare per esempio a lavoro, se noi siamo studenti dovrebbe poter avere accesso a sistemi di archiviazione e scrittura di appunti e condivisione mentre se siamo dentisti magari ci interessa che organizzi gli appuntamenti o che tramite app condivisa mi aggiorni sugli appuntamenti che accetta la segretaria per me, e così via.
- relax: se cerchiamo di averlo sempre con noi dovrebbe renderci liberi e non schiavi, come accade appena si apre il pc di casa che non ho cambiato nessuna interfaccia e problema di prima ma si ripropone con tutte le sue questioni aperte sul fronte di ostilità verso echi del posto di lavoro; angry birds insegna come si cerchi la fuga dalla realtà a spizzichi e bocconi durante le riunioni o in metropolitana senza destare sospetto, rispetto a tirare fuori un ipod o un DS per giocare in maniera plateale, introducendo il problema dell’abito che in realtà fa il monaco.
- durata/autonomia: pochi sanno trovare una giusta distinzione tra la questione tecnica e l’uso del concetto di durata che poi rende anche autonomi. Se il prodotto vive senza doversi appoggiare su un troppo complesso ecosistema di accessori e funzioni riesce a rendere autonomi. Un esempio su tutti di approccio scorretto? Il sistema iTunes. I prodotti Apple sembrano autonomi ma al momento di aggiornarsi o sincronizzarsi con i dati che abbiamo su pc siamo costretti a rifarci a luoghi fissi e oggetti ricorrenti. Un prodotto come il Kindle di Amazon, a differenza della promessa del Nook, è un ecosistema basato sul servizio e non sul device, in altre parole del cloud computing, creando la possibilità all’utente di poter accedere alla propria biblioteca indipendentemente dalla finestra con cui lo sta guardando, ora il device ora l’app ora il web ora il software etc.
- custom: non ci sarà un altro 1984, per citare Motorola. Ognuno di noi predilige alcune cose, dagli hobby alla cultura, facendo riflettere come poi per quanto ogni OS e prodotto provi a mettere ordine, come la propria mamma che entra nella cameretta e spazza via tutto o ci ordina di mettere a posto, in realtà provoca in noi un po’ di depressione perché quella libertà e autorealizzazione che tanto Maslow ci faceva vedere in vetta è stata allontanata dalla pessima gestione dell’esperienza. Rendere come noi stessi, come se fossimo divinità, il proprio riflesso tecnologico, non parliamo di avatar ma di home screen, tale da facilitare il pacchetto di funzioni e cose che ci interessano, per non parlare delle nostre immagini del cuore. Un prodotto come un cellulare ogni volta che si passa a un nuovo modello provoca una perdita di tempo enorme, per non parlare di un computer o di un esempio più banale come un paio di scarpe. Se fossimo ricchi sarebbe fatto tutto su misura 😉
Il sistema operativo del robot verde porta con sè tante buone cose di quello che sono i parametri che più o meno sono condivisi dal lato dei progettisti ma che dal lato utente e sviluppatore molto spesso sono dimenticati.
Android ha portato la possibilità, come ogni linux del resto, di essere il prodotto più a pelle che si potrebbe trovare nel mondo dell’elettronica/informatica grazie a una gestione delle questioni in maniera diretta e non scanzonata.
Se si tratta di personalizzazione ci sono le scelte, se si tratta di autonomia il pc può anche morire, se si tratta di relax le console portatili possono anche schiantarsi, se si tratta di usabilità Apple può farsi un clistere. Non è per essere di parte o meno ma in senso lato il ragionamento ha tutte le risposte positive.
Dal lato reale negli anni passati ci sono stati enormi step in avanti rispetto alla fattibilità di tutto questo: il mercato e i prodotti sono cresciuti, ora il cellulare sta superando le vendite del pc, ora chi acquista un cellulare è più inserito nel flusso di informazioni e non è ignorante di ciò che accade nel mondo.
Consumatori più esperti sembrano quelli che si sono organizzati prima in Tunisia e poi piano piano nel resto del mondo del Nord Africa e del Medio Oriente che scelgono prodotti per comunicare attraverso i filtri imposti dal loro paese.
E noi? Noi a quanto pare sembriamo quelli che sono lobotomizzati dal canone Rai e guardano i tronisti oppure sembriamo quelli che intasano la rete non scaricando film piratati ma cercando di zappare la terra su farmville.
Per concludere rendere i prodotti più di consumo ci hanno già provato abbassando i prezzi, semplificando e addomesticando le funzioni, aiutandoci a avere tutto quello che anche non pensiamo di chiedere ma se noi, tecnofili, nerd, geek, ingegneri, designer e chi più ne ha più ne metta, non siamo i soli consumatori qualcosa dovrà pur cambiare.