In questo articolo non approfondisco la terminologia della UXdesign ma vi illustrerò come può essere uno strumento di analisi per comprendere cosa cambia nel campo del mobile computing, che ci fa rendere conto che non stiamo più parlando di cellulari come quelli che adoperavamo solo qualche anno fa e che molti adoperano ancora.
Non vorrei iniziare da troppo lontano per questo che non è né una recensione né una notizia ma una descrizione e analisi dei cambiamenti che ci circondano e cambiano la nostra relazione con quello che si fa e gli altri.
I primi tasti
Un fattore molto importante nello sviluppo di un media come quello della comunicazione è stata l’introduzione dei tasti, dopo le vicissitudini come i segnali morse e il disco, fornendo così agli utenti di un mezzo simil naturale per introdurre dati per comporre i numeri o interagire con i primi ordini digitali (ricordo ancora il periodo in cui se avevi un cellulare motorola era dura inserire il tono giusto per 1 o per 2 per sentire il credito residuo).
L’introduzione dei tasti è stata corredato di * e # per numeri speciali e per le composizioni ai terminali digitali, la comparsa successiva è stata quella della prima programmazione dei tasti R e RP che al giorno d’oggi molti anziani continuano a non capirne l’uso, francamente potevamo farne a meno con la produzione di poi. I tasti diversi da questi hanno corrisposto a un effetto disperazione negli utenti davanti ai manuali che spiegavano la programmazione come per i registratori VHS per inserire l’ora.
Negli studi di ergonomia e usabilità ogni cosa che non è naturalmente spiegabile e non ottiene un feedback non è classificabile come operazione utile in termini di tempo e denaro speso per ottenerlo e usarlo.
Con questa spiegazione si viene a pensare perché è molto più semplice che molti ricordino le funzioni dei tasti funzioni (da F1 a F12) in un mac, grazie a un’iconografia molto elemntare, rispetto a un pc, in cui Win7 nasconde queste funzioni nei tasti non F ma in combinazioni del tasto WIN e lettera che corrisponde all’oggetto (win+D(desktop) o win+P(projector) o win+E(file explorer)). L’effetto da parte di chi progetta, e non ha queste nozioni di usabilità, è quello di complicare la vita al prossimo (contrariamente alle sue aspettative).
Dall’intuizione della digitazione agli schermi
L’idea della prima nuova fruizione dei dispositivi, specialmente i cellulari, è l’introduzione di interfacce grafiche o testuali che permettano di far capire cosa stanno facendo. C’è molta più semplicità in un cellulare come il One Touch Easy di Alcatel che nel teledrin o nella lavatrice grazie a una giusta dose di simboli e effetti che lo rendevano molto più esperibile del Motorola suo contemporaneo (la tegolona gialla di Omnitel).
L’esperibilità, il fatto di poterne fare un’esperienza corretta, necessaria e senza particolari intoppi, è un concetto che va oltre al fatto che funzioni ma che è una commistione di più fattori.
Pensando agli oggetti di ogni giorno che hanno subito cambiamenti più o meno drastici con l’avanzare della tecnologia, il cellulare come il registratore, la televisione e il microonde sono diventati tutti molto più semplici quando i tasti spiegavano cosa facevano e quando i manuali iniziavano a diventare foglietti piccoli. La fortuna non è solo però nella progettazione complessiva ma anche l’accumulo dello sforzo fatto dall’utente la prima volta per imparare quelle determinate metafore per fare le operazioni che gli interessavano.
In quanti vedendo un oggetto oggi sanno che devono cercare un tasto di accensione con un determinato simbolo circolare interrotto da una linea? Tutti ormai.
Ma quanti sanno che per chiudere un’applicazione su un cellulare serva la stessa comunicazione? Nessuna azienda, creando così il panico da parte degli utenti.
L’introduzione di GUI, Graphic User Interfaces, permette di amplificare le metafore ma anche di crearne troppe.
Le GUI con i cellulari a schermo a colori, o mono cromatici, hanno dato sfogo ai più imbarazzanti esempi di apertura e chiusura di applicazioni, dando prima via libero alla chiusura dicendo “Esci” come nei Symbian e poi traumatizzando tutti con il tastozzo dell’iphone oggi.
In mezzo a questa diatriba negli schermi si sono moltiplicati i tasti sotto partendo dai più classici che proponevano gli stessi dei telefoni fissi fino alla riproduzione della tastiera completa del pc. I risultati? Ancora più allarmanti pensando alle seconde funzioni che vengono a crearsi, come quelle descritte per il mondo pc, con effetti imbarazzanti e/o forvianti. Cercare di fare Crtl+Alt+Canc su un cellulare mi fa ricordare perchè non ho comprato un brondi della terza età o di hello kitty per bambini da 3-6 anni.
Nel mentre che l’esperienza complessiva sulla scocca e sull’interfaccia il pandemonio del cellulare è stato combattuto anche all’interno, tra le viscere. L’introduzione dei dizionari per la correzione ortografica hanno dato per fortuna un vincitore come il T9. A differenza dell’inserimento manuale delle singole lettere o del limitatissimo iTap di motorola, il T9 ha introdotto a livello di esperienza l’unica parte a livello software che ogni utente impara per poter superare il gradino di depressione all’acquisto di un nuovo terminale.
Il Miglior modo per tornare a casa
Non vuole essere solo un gioco di parole ma le metafore adottate dai vari OS in generale hanno creato confusione e solo alcuni riescono a rimediare il problema dell’uscita dall’applicazione in uso o della sua messa in secondo piano.
Prima di tutto bisogna ricordare che la chiusura di un’applicazione provoca la perdita dei dati con cui si stava lavorando. Quindi è davvero necessario in un ottica User Friendly?
In molti casi ci siamo ritrovati in Word, o altri programmi di editazione documenti, che si chiuda in maniera del tutto inaspettata per farci perdere o corrompere il file su cui stavamo lavorando. Il fatto poi che un qualche motivo murphiano ci conduca a chiudere l’applicazione è sempre in agguato (io ho perso decine di pagine di ricerca in questo modo, facendomi passare a GDocs per disperazione!).
Uscire dalle applicazioni vere in realtà non lo vogliamo mai visto che siamo Always On e quindi il metodo Android vede la vittoria su tutti, mettendo in background ogni sorta di applicazione salvo specifica da parte dell’utente o dell’applicazione stessa rispetto all’iterazione eseguita.
Un metodo iPhone invece prevede solo la chiusura e con una pressione continua di qualche secondo permette di farci trovare quello che abbiamo dimenticato (a differenza delle modifiche che si possono apportare nella barra delle notifiche di Android che possono arrivare a portare il multitasking in maniera intuitiva).
Apple dal suo canto copia chi ha fatto multitasking prima del beniamino verde: Nokia ha sempre permesso di andare in multitasking ma non sempre per i dati, che ci accede sempre spesso un’applicazione per volta.
Touch Screen vs The World
E finalmente arriviamo a discorsi che sembrano più vicini a noi, che siamo utenti di terminali complessi (l’introduzione degli smartphone è ancora limitata rispetto al complesso del bacino di utenza globale, fatto molto importante da tenere conto).
L’interfaccia grafica è diventata un punto cruciale oggi più che mai grazie al touch screen, obbligando ai più di spiegare come fare le operazioni in maniera più naturale possibile, facendo in modo che tutti dimentichino la pessima esperienza dell’uso del pc e di qualunque OS per desktop esistente.
Chi è che quindi gestisce al meglio poi anche il concetto di multitasking? La risposta, escludendo l’Hardware che possa o meno reggere tutte le applicazioni aperte che per molti utenti medi è impossibile da gestire mentalmente, è nessuno a livello di metafore progettuali. Lo spiega chi ci lavora dietro:
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WebOS di Palm, ora in mani HP, ha iniziato a far comprendere cosa è realmente fare interfacce dirette e senza tasti, grazie a chi ora è in Google nello sviluppo di Android. L’unico peccato è stato essere un sistema bloccato su un solo dispositivo poco distribuito e mal comunicato, l’esatto opposto di Apple con iPhone, i quali se potessero metterebbero gli annunci pure nei tovaglioli dei bagni (scusate ma le campagne marketing della mela sono davvero invadenti e poco istruttive).
Ora la fortuna da parte di G è la possibilità di avere nel proprio staff qualcuno con mente libera e lungimirante tanto da aver contribuito a Honeycomb per far togliere i tasti e rendere molti passaggi sempre più ovvi (penso all’evoluzione di Gmail e Gmaps).
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Speranza per il domani
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Fare un dispositivo oggi è migliorare il mezzo che rimane tra noi e l’idea, che per un cellulare era solo telefonare e oggi è aggregare i dati che più ci importano su internet o che vogliamo condividere con altri utenti. Infatti oggi parliamo più di mobile computing che di mobile phone, per non dimenticare il cloud computing, in altre parole di una esperienza completa simile al desktop ma in maniera più diretta e senza l’obbligo di stare fermi. Muoversi e saper fare fanno dell’uomo di oggi un must importante, senza lag e delay che tengano.
L’esperienza di domani sarà a metà tra le gesture per iPad appena svelate dalla beta di iOS 4.3 e webOS prima e i comandi vocali e tridimensionali di Kinect, simili in parte ai comandi vocali migliorati su Gingerbread. L’interfaccia quindi non è più solo grafica e qualche abbellimento ma qualcosa che ci ricorda come facciamo tal cosa nella realtà (la chiusura delle app su iPad con la 4.3 è simile a accartocciare la carta e su webOS è come spingere via un foglio per liberare la scrivania) ricordando che non tutti siamo nerd o geek e che l’utente medio va oltre alle specifiche.
Un metodo che oggi si sta affacciando è un esempio come quello del Notion Ink Adam ma forse rimarrà un unicum se altre case non faranno lo stesso.
Per chiudere l’importante è non terminare nell’effetto vortice della casa di Cupertino, come viene preso in giro da un famoso video.
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