
Come sicuramente saprete, il web viene finanziato principalmente attraverso la pubblicità. In pratica, determinate aziende (ad esempio Facebook e Google) basano la maggior parte dei propri introiti sulla pubblicità. Al fine di valorizzare al più possibile le inserzioni pubblicitarie e far sì che arrivino alle persone giuste, le campagne pubblicitarie sono impostate su dei target ben precisi che vengono fuori dall’analisi di quanti più dati possibili. Dalle ricerche sul web agli acquisti che facciamo, tutto va a finire nei “Big Data” e tutto è utile per affinare ancora di più il “targeting”.
Nelle scorse ore abbiamo scoperto che in futuro questi dati potrebbero essere accoppiati a quelli provenienti dai nostri wearable. Considerando la natura di questi prodotti tecnologici, è probabile che a trarre maggiormente vantaggio da questa tipologia di dati saranno le aziende farmaceutiche oppure quelle assicurative.
Questa raccolta di dati però si baserebbe su un principio non regolamentato e soprattutto non crittografato circa la condivisione dei dati sulla salute. A sua volta questo significa che, in linea teorica, anche gli attuali wearable sono in grado di condividere dati sulle nostre attività.
Il Center for Digital Democracy a tal proposito ha pubblicato un interessante report che vuole attirare l’attenzione degli organi competenti per cominciare a stilare una qualche regolamentazione e costringere i produttori di wearable ad utilizzare degli speciali chip crittografati per proteggere la privacy dei nostri dati.